giovedì 3 giugno 2010

Blog giugno 2010
La consapevolezza e le emozioni
Si sente sempre più forte la necessità di usare nelle vicende quotidiane, per vivere al meglio, la consapevolezza e le emozioni, la ragione e il sentimento; voglio portare un esempio pratico per dimostrare le loro funzioni: ammettiamo che io stia vivendo una situazione molto pesante e travolgente, la mancanza di lavoro e di conseguenza l’impossibilità di pagare bollette varie e quindi restrizioni avvilenti sul tipo di vita da vivere.
In tale situazione quali sono le reali funzioni che posso svolgere per riconquistare un senso di equilibrio, di sicurezza e vorrei dire di accettazione tale da farmi vivere gli eventi quotidiani con un minimo di tranquillità?
Innanzitutto dovrò usare la consapevolezza, la ragione, questa svolge la funzione primaria di inquadrare il problema, la situazione, di riconoscerne i termini, le forze in gioco in quella precisa e concreta circostanza, è come un faro che illumina nel profondo tutti i recessi in cui si nascondono le insidie che creano ostacoli e difficoltà. Quando mi soffermo a riflettere per capire, è il momento yin, cioè l’occasione per mettere a frutto tutta l’esperienza acquisita, l’acume dell’intelletto, le capacità di analisi, le conoscenze apprese, in sostanza tutto ciò che “la testa” mi può dare e senza cui non potrei indirizzare gli sforzi per risolvere il problema.
Ma l’esperienza più mortificante è che, nonostante io riesca ad accendere la luce sulla situazione, il senso di sofferenza e di fastidio, le paure e le ansie non passano: quando si avvicina il termine di pagamento delle bollette, se non ci sono i soldi, la paura, la rabbia e la stizza crescono in me anche con l’analisi più illuminante; manca qualcosa che renda sostenibile una situazione, quella situazione. Che cosa è? Sicuramente non è la risposta di “testa”, è qualcos’altro che deve subentrare nel mio subconscio e che condizionerà il conscio.
Per dare una risposta valida, ricordo una storia vera raccontatami da persone che l'hanno vissuta insieme con un personaggio storico, Don Luigi Orione, fondatore della Casa della Piccola Opera della Divina Provvidenza a Tortona che ha operato a favore dei fanciulli mutilati e invalidi per le vicende delle due guerre mondiali e continua la sua opera nelle missioni nel 3° mondo, specie in Brasile. Io ho insegnato diversi anni in una scuola gestita dai suoi diretti collaboratori che mi raccontavano molti episodi della vita del Santo vissuti insieme; tutti si trovavano coinvolti perché partecipavano alla costruzione della casa Madre a Tortona e quasi sempre don Orione, poco prima della scadenza di pagamenti a fornitori e alle maestranze, non aveva denaro per pagare, allora il suo comportamento era il seguente: faceva un atto di fede cioè si affidava alla Provvidenza che lo aiutasse. Immancabilmente ogni volta arrivava qualche persona che donava alla “casa” il denaro necessario per saldare quei debiti che erano serviti, in realtà, a fare del bene ai poveri, diseredati, bambini e altri.
L'atto di fede nasce dal cuore non dalla mente : è una emozione intensa che trascina, che riscalda l'animo, rende le cose più accettabili, apre orizzonti più vasti e dà una serena sensazione di vita. Attenzione!!! L'atto di fede non è assolutamente un atteggiamento soltanto “religioso”, è un movimento e un gesto del cuore che accende emozioni, calore e immette magicamente nel flusso dell'energia di amore universale. Provare per credere!!
Potrei raccontare moltissimi esempi anche della mia vita e della mia famiglia nei tempi bui della ultima guerra mondiale, quando non c'era da mangiare letteralmente ma credevamo con fede intensamente che non saremmo morti di fame, veniva sempre qualcuno a casa nostra a portarcelo: è un periodo triste da ricordare ma molto educativo che io non posso dimenticare.
Molti potrebbero fare delle obiezioni e contraddire ciò che ho appena esposto dicendo che loro in qualche situazione con un atto di fede non hanno ottenuto ciò che desideravano; può essere vero ma per una ragione che io ho ampiamente sperimentato: infatti, ho notato che c'è differenza fra il desiderare un qualcosa per puro scopo personale ed egoistico, magari per non provare la paura del bisogno, l'ansia di non riuscire a mantenere un tono di vita, e un qualcosa che attraverso di noi va a vantaggio anche di altri. Quando, ad esempio, è implicato nella ricerca di guadagno un ego personale che vuole essere soddisfatto per apparire o per ottenere cose superflue, c'è più fatica a procurarselo e maggiore è il rischio e la delusione e forse anche la stizza per non essere riusciti ad ottenerlo, ma quando il denaro guadagnato serve per garantirti una vita semplice che ti permetta di lavorare non solo per te stesso ma anche a servizio del prossimo, la situazione è diversa, ci sarà sempre un qualcosa che ti permetterà di superare difficoltà e ostacoli, chiamalo pure angelo o spirito benevolo.
Voglio con ciò dire che il bene materiale o spirituale va sempre condiviso. Non è saggio considerarlo di proprietà personale per scopi del tutto egoistici.
Ritengo che se si dovesse vivere una condizione di vita chiusa in se stessa senza possibilità di scambio e condivisione, la legge dell'amore universale colpirebbe per far capire che non ci deve essere speculazione o accumulo di beni ma soltanto uso a beneficio di tutti; non è uno strano moralismo ma un aspetto importante della nuova energia che fluttua, vibra e, se si tenta di bloccarla, reagisce.
Ma la legge della consapevolezza e dell'emozione funziona molto più palesemente ed efficacemente a livello psichico specialmente quando una persona è depressa, cioè sperimenta il senso di vuoto, la noia, la mancanza di stimoli e interessi e in particolare la spinta ad uscire dal suo piccolo guscio del suo ego personale. Mi spiego: può arrivare un momento della propria esistenza in cui anche per un basso livello energetico psicofisicomentale si sperimenta lo spegnimento dell'essere, come una morte interiore che blocca qualsiasi contatto con l'esterno e rallenta fino quasi a paralizzare le più importanti funzioni vitali: ecco l'insorgere di malattie psicosomatiche strane e spesso difficili da curare solo medicalmente.
Ebbene, si potrebbero applicare in tale caso la consapevolezza e l'emozione. Come? Occorre essere molto sinceri nell'analisi dei propri sintomi, vederli con sano e obiettivo senso critico per valutarli nella loro reale natura, la consapevolezza; a questo punto si è fatto un 50% del lavoro necessario ad uscire dalla crisi, poi occorre l'altra metà del lavoro: l'emozione del cuore che spinge a trovare in se stessi una sorgente-risorsa di energie che ci esorta a partecipare con gli altri ai fatti della vita.
Se una persona depressa si occupasse dei problemi degli altri concretamente condividendo gioie e dolori, responsabilità e riconoscimenti, uscirebbe presto dal suo circolo vizioso e acquisirebbe subito una nuova visione di vita.
E' successo spesso che persone depresse una volta dedite al volontariato siano guarite come per miracolo!! Se la depressione la si cura solo medicalmente spesso non guarisce perché si rimane prigionieri della propria visione e aspettativa egoistica: voler ritornare a stare bene per puro desiderio egoistico di sentirsi a proprio agio, per appagare l'ego forte che ama vedersi sano, potenzialmente capace di fare tutto ciò che vuole senza riciclare le proprie energie e consumandole solo per scopi del tutto personali.
Se, invece, si entra nella logica di mettere a servizio della vita intorno a noi le nostre riconquistate energie, avviene il miracolo della guarigione.
Per capire meglio, è necessario provare ad aprirsi all'energia che scorre, fluttua, non si ferma mai, è di tutti, è universale, si avverte nell'emozione del cuore anche di fronte alle cose più semplici della vita.
Oggi è una necessità impellente e reale quella di provare emozioni sane e sincere anche rispetto alle verità più profonde che la conoscenza esoterica, la scienza, la religione, l'arte e tutte le manifestazioni della creatività umana possono offrire alla curiosità conoscitiva dell'uomo, ma anche di partecipare e condividere le proprie energie con gli altri, senza però lasciarsi travolgere, coinvolgere eccessivamente e mantenendo il proprio equilibrio dinamico che giustifica e soddisfa il senso del vivere con gioia e creatività.
E' una ripetizione continua e costante: “Partecipa e condividi le tue energie e le tue emozioni con il prossimo!!”
Certo è saggio prendere precauzioni giuste per non lasciar fagocitare e spremere le nostre energie magari faticosamente raccolte ma il senso del giusto amore per il tutto richiede un continuo scambio, è limitato dire con l'ambiente intorno, con il cosmo intero a livello psicospirituale; infatti, uno dei motivi che ci fanno sentire sempre limitati spesso inutili e senza valore, è ignorare il nostro intimo e inconscio e dipendenza dalle energie che vivono nell'universo intero. Abbiamo paura e proviamo soggezione nel pensare a tale interdipendenza con il cosmo intero, ma è una realtà che sempre più riconoscono anche i fisici quantistici e la gente di un certo livello conoscitivo seria umile e preparata.
E' importante però far vibrare le corde del cuore per superare il senso di morte, di vuoto, di squallore morale che ci circonda, suscitato soprattutto dai mass-media che trasmettono sempre notizie talvolta raccapriccianti.
Sono convinto che proprio attraverso tali esperienze così negative si acuisca il senso dell'umano positivo, così ricco vario e molto affascinante e si sostituisca lentamente ma inesorabilmente la cultura della morte con la cultura della vita, le emozioni del cuore ne sono una genuina e forte espressione.